La prospettiva più luminosa e pura per la direzione che uno deve prendere è che prenda una via che non segua altro che l'estetica, il bello. Si discuteva in questi giorni a più riprese e con varie persone (si vede che a febbraio nell'aria c'è una bella dose di scazzo e saccenza) di questa cosa qua.
Praticamente chi in qualche modo lascia o si vede costretto a far entrare nella sua vita una qualche forma di impoverimento allora è spacciato.
Per quanto possa adorare stilare liste e buttare giù elenchi, non mi metto qui a puntualizzare sul fatto che esistano innumerevoli tipologie di ricchezza come di povertà, e assolutamente non ho per la testa di scriverle e fare un bel discorsone pomposo su quanto sia più importante questa o quell'altra povertà o ricchezza, tipo che i ricchi sono tristi e che i poveri sono più umani. Lasciamo stare, non mettiamoci a fare pietà.
La cosa secondo me veramente tragica è appunto che la povertà, di qualsiasi forma, genera altra povertà.
Per questo siamo costantemente lì a dire che piove sempre sul bagnato.
Per esempio, una famiglia povera molto spesso non può permettersi altro che di badare e concentrarsi sulla propria sopravvivenza, ed è costretta a lasciare indietro tutta una serie di spunti, stimoli e aiuti che invece le sarebbero fondamentali per risollevarsi. Perché il bello, l'arte, la creatività, l'ispirazione ci possono tirare fuori dai guai.
Sono del tutto sicuro che Calimero sia la metafora più azzeccata per questo discorso qua: non siamo neri, siamo solo sporchi.
Sporchi di povertà. In qualsiasi campo.
Una famiglia che sia costretta a campare, in quattro, con mille e cento euro al mese, per parlare in maniera pratica, non avrà apparentemente mai tempo né denaro per dedicarsi a certi sport entusiasmanti che invece sarebbero quelli che la potrebbero aiutare di più a vivacizzarsi la mente, scacciare il torpore e prendere in mano la vita così come va presa.
Nei limiti, perché poi uno la vita non riesce mai a prenderla in mano fino in fondo.
Non si ha tempo e denaro per viaggiare, non si ha voglia e denaro per scoprire, non si ha curiosità e denaro per mettersi dentro a un museo, ad un bosco, ad una città, ad un disco e lasciarsi andare e assorbire da tutto, ed uscire dal mondo per lunghi istanti e magari ore, senza pensare al portafoglio vuoto, all'assicurazione dell'auto, ai saldi che cominceranno di lì a poco. So che è difficile, ma la medicina è altrove, non sul divano.
Un portafoglio ce l'hanno dato, un'assicurazione ce l'hanno imposta, i saldi ci attraggono: non siamo veramente noi, non è roba nostra. E' tutta roba di qualcun altro, e noi dobbiamo pure uscirne, di tanto in tanto, cioè poterci non pensare.
Molto spesso un povero ha un'audi, e questo è raccapricciante.
E' incredibile che una persona povera non possa avere un'occasione di riscatto: ci danno continuamente delle distrazioni, dei palliativi, delle pillole placebo. E' incredibile che uno la domenica, semplicemente perché non ha soldi, sia costretto a non fare troppi chilometri con l'auto perché la benzina costa, e allora prende la famiglia e va cinque ore dentro un centro commerciale e se ne esce intontito con cinque euro di spesa e poi ritorna a casa perché non può mangiare fuori e mangia più o meno sempre quello e prende il telecomando e guarda la televisione a pacca', come se non ci fosse un domani, e ascolta parole leggere come il niente, e guarda balletti, guarda sorrisi a clown, denti bianchi, tette rifatte, abbronzature improbabili, spot senza arte, comici che ridono dei politici (e ora basta riderci bisogna incazzarsi o almeno dialogare: noi li trasformiamo in personaggi e loro sono i pr del nostro declino), e respirano aria fritta, e assumono onde cerebrali malate, disconoscono un'alternativa.
Così da non pensare, così da aspettare, e basta.
Nascono persone incolte, disilluse, che vanno a rifugiarsi in castelli di cartapesta dorata.
Invece di miniere di vero oro il mondo è pieno. Lì ci si arricchisce sul serio.
Si può iniziare a riconoscere delle alternative.
Ci si può organizzare, anche piano piano, per un'esistenza migliore.
Uno che è povero ha la vita difficile: per il suo riscatto chiedono una cifra esorbitante, e a lui prende la sindrome di Stoccolma, e si innamora dei suoi rapitori. Si innamora di una TV, di un centro commerciale, di un libro di giorgio faletti, di una tribuna politica.
Per contro, inseguendo il bello si può anche sperperare ogni cosa, tutto il denaro, e la propria salute.
Francis Scott Fitzgerald passò metà della vita a non rinunciare a niente di ciò che gli piacesse e morì mezzo in disgrazia e alcolizzato. Ma quella è un'altra storia, e di sicuro è una morte migliore.
Mai morire. O mai morire tra gli scaffali di un centro commerciale.