domenica 29 dicembre 2013
sabato 9 novembre 2013
Metodologia ipotetica, ma anche parecchio reale, di mercato
Lettera quasi vera:
Buongiorno colleghi.
La vostra Cooperativa ha deciso questa mattina che è giunto il momento
di apporre un po’ di ordine alla vita commerciale dell’ultima cittadina che è
stata messa sotto esame. Analizzando le indagini di mercato e confrontando i
dati con quelli delle cittadine affini (tramite i soliti criteri, calcolati
sulla cittadinanza, di età media, istruzione media, ore quotidiane di
sintonizzazione televisiva e relativi sottoinsiemi, posizione geografica)
abbiamo convenuto, in sede di consiglio, che la dottrina di spesa stia subendo
uno sbrodolamento verso i prodotti eco-compatibili e/o biologici, e verso la
merceologia che presenti basso costo e scarsa qualità. Il consiglio ha deciso
dunque di uniformare a livello nazionale l’offerta di prodotti “verdi”,
consigliando alle aziende produttrici un maggiore investimento nella propaganda
ecologica e nella messa a punto di articoli che facciano del rispetto per
l’ambiente la propria bandiera. Abbiamo altresì fatto presente alle suddette
aziende l’importanza rivestita dall’adottamento di una vera e propria politica
di clonazione delle strategie commerciali (ivi inclusi dunque la filosofia del
prodotto, i caratteri delle sue etichette, lo spirito dietro a tali etichette e
la loro estetica) verso quei produttori pionieri nel campo dell’eco-compatibile
e/o biologico, in modo da poter riequilibrare gli odierni scompensi a loro
favore confondendo il cliente nella scelta. Tali produttori sono già stati
avvertiti ed hanno logicamente dato il loro assenso. A giusta ricompensa,
ognuno di loro riceverà, per due articoli della gamma che hanno in commercio ed
in aggiunta a quelli già titolati, il canonico attestato di “prodotto dell’anno
eletto dai consumatori”. La qualifica avrà durata di due anni (dunque un
attestato per anno), da diluirsi nell’arco di quattro. Così come al solito, i
produttori titolati avranno dunque la facoltà di scegliere in quali dei quattro
anni essere premiati.
Il fine ultimo di questo primo punto strategico è quello di presentare
al cliente una varietà di prodotti che non è una reale varietà. Ogni azienda
produttrice avrà la propria gamma merceologica“verde”. Il consumatore non sarà
dunque spinto, in virtù dei propri valori morali o degli allarmi climatici
lanciati sui media, a premiare due produttori su quattro soltanto perché questi
due produttori hanno rispetto per l’ambiente. Davanti ad uno scaffale di
biscotti, per esempio, il consumatore dovrà trovare d’ora in avanti una miriade
di prodotti ansiosi di ostentare la propria eco-compatibilità. Il mercato deve
restare compatto, uniforme, una massa indistinguibile indirizzato ad una massa
indistinguibile.
Per quanto riguarda i cosiddetti “discount”, questi magazzini enormi
dove si vende merceologia d’importazione, si è convenuto presso la nostra sede
che l’epidemia, perché di una sorta di epidemia di “low-cost”si tratta, potrà
essere facilmente controllata instillando nei consumatori il sospetto che la
propria salute, servendosi di prodotti discount in maniera prolungata nel
tempo, né risentirà in maniera pesante e irreversibile. Parallelamente, si
dovrà richiamare l’attenzione della popolazione su due punti riguardanti la
sanità nazionale: suoi costi e sua fallibilità.
Il primo concetto dovrà essere immesso “sulla piazza” in maniera
pedante e senza alcun sotterfugio, che non sia una copertura garantita da
giornalisti, conduttori tv e blogger che urlino contro la “piaga dei costi
alti della sanità”. Dovranno essere
screditati medici ed infermieri, così come professori e specialisti tramite la
pubblicazione dei loro compensi netti annui, subito confrontati con quelli di
un operaio, un tassista, una donna delle pulizie, un commesso. Il tutto dovrà
ruotare forzatamente intorno al concetto che la sanità è diventata un lusso per
pochi. La gente sta morendo di fame e sotto il peso delle tasse, ma la sanità
maligna non vede, non vuol vedere, se ne frega: pretende bonifici esosi per
prendersi cura della vostra vita. I medici guidano auto lussuose. I medici
vanno in vacanze alle Maldive. I medici non sono mai disponibili, la burocrazia
vi attanaglia. Se volete una visita specialistica, anche urgente, bisognerà
aspettare dei mesi. Se pagate, il giorno dopo siete su un lettino. E’ uno
schifo, è tutto uno schifo.
Questo dovrà recepire la popolazione consumatrice. Il futuro non è
nelle sue mani, la spesa è l’unico campo dove hanno l’illusione del libero
arbitrio.
Il punto sulla fallibilità sanitaria. Si dovrà inserire nelle
sotto-strutture del discorso massmediologico un filone di aneddoti e pensieri
di protesta che vadano ad intaccare la fiducia dei cittadini verso l’apparato
sanitario. Dovrà essere riportata una maggiore percentuale di fatti di cronaca
nera inerenti ad ambiti ospedalieri: operazioni andate male; gente morta sotto
i ferri; diagnosi errate; assegnazioni scorrette di medicinali; brutti effetti
collaterali comparsi in seguito a cure specifiche; pazienti che potevano essere
salvati ma che invece sono morti per la negligenza degli ospedali; tumori della
pelle scambiati per scottature solari; anziani infartuati rimbalzati di
ospedale in ospedale finché non sono morti in ambulanza; fratture ossee
recidive; presenza di infermieri/angeli della morte; accanimento terapeutico a
puro scopo sperimentale (si potrebbe accomunare tali fatti a quelli della
Germania nazista: Hitler fa sempre effetto); condizioni igieniche degli
ospedali da terzo mondo; pazienti costretti a vivere in barella, stazionando nelle
corsie per giorni e giorni in attesa di un posto libero. Dovranno essere
riportate testimonianze a iosa. Tali testimoni, dovranno essere scelti fra
quelli che presentino caratteristiche più vicine a quelle del cittadino medio:
difficoltà economiche, grammatica stentata, commozione per la propria
condizione, acciacchi. Gli avvocati non generano solidarietà. In sede di consiglio
abbiamo identificato i telegiornali come i mezzi più indicati alla diffusione
di questo stato d’animo.
Ci aggiorneremo.
Ci aggiorneremo.
venerdì 26 luglio 2013
Credi che il mondo possa anche non essere un network?
L’eco del bosco, il richiamo della foresta, il silenzio
delle foglie, lo sguardo della tigre rimandano a tutto un immaginario fantastico,
ma molto eremitico, un aggettivo che nell’attuale era dei network virtuali ha
sicuramente acquisito un’accezione negativa. La sovrainformazione è sempre
stata un mio cruccio. Da piccolo, avevo appena imparato a leggere, mi lamentavo
con i miei genitori per il fatto di non poter evitare di farlo. Il fatto di
essere costretto a leggere tutto mi mandava fuori di testa: cartelli stradali,
manifesti pubblicitari, insegne di imprese, volantini, strilloni dei giornali. Fu
l’epoca in cui non mi fu più permesso di guardare come una volta, e credo me ne
rendessi già conto. L’immaginazione lasciò troppo spazio all’informazione, a
cominciare dalle sciocchezze: invece di fantasticare sul nome strambo di una
data cittadina e sull’aspetto delle sue strade, dovetti per forza acquisire il
fatto che quella cittadina stava ad appena quattro chilometri dalla mia, e che
anche lei aveva una sagra, un barbiere e un ospedale. Insomma, scomparvero i
draghi, gli arcieri che abitavano i suoi palazzi medievali e i tamburi ogni
sera. A ripensarci, non fu proprio una sciocchezza.
Più in grande ma come allora, la sovrainformazione temo stia
uccidendo grosse parti di me. Questo mi dà molto fastidio. La facilità con la
quale possiamo esprimere un pensiero su facebook o goderci cento immagini
proposteci da altrettante persone comincia ad essere fuorviante. Non credo per
niente che la vicinanza che uno sente verso una persona dall’altra parte del
mondo nello scrivergli una mail e mandargli una propria foto ogni mese sia
davvero vicinanza. Credo piuttosto che si tratti di illusione, e cioè del
sentimento più facile che uno possa provare. Meglio ancora, ho l’impressione
che canali come i social network abbiano tanto successo perché propongono una facilitazione
dei sentimenti e della nostra espressività: il “mi piace” ci dà l’impressione
di aver espresso un’opinione; la fotografia ad una colazione ci fa credere di
aver creato; lo scrivere “wow, ora tutti al mare spiaggia aspettaci” ci
convince di passare una grande fantastica giornata. Tramite queste cose ci
sfoghiamo ma il dubbio è questo: se non li avessimo, saremmo in grado di
sfogarci meglio, cioè qualitativamente meglio?
Esprimeremo un’opinione con almeno dieci parole, fotograferemo qualcosa che non
sia cibo o piedi vestiti di scarpe, ci ingegneremo per passare davvero una
grande fantastica giornata? Io sono propenso a rispondere di sì.
Il discorso dell’eremita si lega a questo: se da una parte l’estremo
è la vita social, dall’altra si
rischia, per fuggire da tweet, status, filtri fotografici e wiki, di doversi
rifugiare su una casetta montana, in mezzo alle capre selvatiche e agli
stambecchi, rischiando di diventare animali pure noi. Pazzi, insomma.
L’unica cosa che mi sento di fare è di scaricare il minimo
di applicazioni, avere meno account possibili e leggere soltanto le recensioni
indispensabili: può darsi che liberando un po’ di spazio nella testa qualcosa
di buono esce fuori.
Magari riesco pure ad evitare di leggere qualche cartello.
Magari anche questa è illusione.
sabato 13 luglio 2013
Ignoranza, ignoranza, ignoranza
William Faulkner, il romanziere statunitense de “L’urlo e il
furore”, “Oggi si vola” e tante altre belle storie di vita, gongolava per la
sua ignoranza, la coltivava. Venuto a Milano a ridosso degli anni cinquanta, mi
pare di ricordare fosse nel 1949, alla conferenza stampa professava la sua
attitudine: “Sono un contadino, non uno scrittore, non conosco per niente la
letteratura italiana”. Questo tipo di vanto ricorreva in quasi tutte le sue
conferenze stampa di quegli anni, quando ospite di un Europa che usciva dalla
guerra assetata di rinascita culturale, nei vari paesi veniva accolto sì con
apparente entusiasmo, ma allo stesso tempo con una canonicità, tipica appunto
della sete di cultura, che non riusciva a discernere tra una domanda banale ed
una invece di più ampio respiro. Mentre tutti i paesi coinvolti nella guerra
europea sembravano non poter più ammettere quella stessa ignoranza che magari
aveva anche contribuito a portarli nel baratro nazi-fascista e rincorrevano la
conoscenza a perdifiato, William Faulkner arrivava qua con una sfrontatezza che
di sicuro apriva nuove riflessioni. Nel momento in cui l’intellettuale europeo
era più debole, visto che era stato costretto per almeno cinque anni a mettere
la sua cultura sotto naftalina a causa della guerra, e quindi era anche più
avvezzo ad abbandonarsi ad una conoscenza prettamente enciclopedica che non lo
arricchiva quasi per nulla, arrivava dagli Stati Uniti un’improvvisa sterzata,
simile all’aiuto militare datoci in campo: la mente è viva se libera. Punto. La
cultura piantata a caso dentro la testa può fare più schiavi della tirannia o
dell’ignoranza. Più di Kerouac e della combriccola della beat generation, che
invece, per quanto anch’essa frangi barriere, comunque abbracciava una certa
devozione verso i maestri del passato, William Faulkner veniva a dirci che dovevamo
osservare, e non studiare, e soprattutto battere la vanga sul nostro campo, e
non fissarci a vangare quello degli altri e promuoverne i frutti.
Questo veniva predicato sessantacinque anni fa e per un po’
ebbe un suo riscontro. Per almeno quindici anni da quella data (mese più, mese
meno) la gente andava anche incontro alle sperimentazioni, ammettendo di fatto
una via alternativa al conoscere tanto per conoscere. Poi inevitabilmente si
sperimentò sempre di più. Col sessantotto si ruppero tutte le barriere e
venivano fuori tutti i fiori che erano rimasti fino ad allora un po’ nascosti.
Ma col fatto che ad ognuno era ormai permesso di dire la sua, finivano per
parlare molti che in fondo non avevano niente da dire. L’ignoranza, salvo pochi
casi, non si univa ad una capacità di osservazione, come per Faulkner, e la
decostruzione di ogni cosa non era accompagnata da un’altrettanto energica
capacità costruttiva. Insomma, si distrusse tutto, ma non si seppe come tirare
su un’alternativa che non assomigliasse a qualcosa di solamente idealistico ed
utopico, con tanta pace, uccellini e amore.
La conoscenza della terra di Faulkner era stata soppiantata
dal sogno di una terra.
Ancora oggi la conoscenza e l’ignoranza vengono vissute in
maniera molto canonica: entrambe, non riescono ad evitare di denigrarsi a
vicenda. E se una volta in mezzo c’era vita, oggi sembra esserci soltanto un
mare desolato.
Gli ignoranti conoscono, gli intellettuali ignorano, e così
via, anagrammate i ruoli.
venerdì 5 luglio 2013
Happy summer holidays
happy
summer
holidays (see you next)
summer
holidays (see you next)
giovedì 4 luglio 2013
Indipendence Day, blank space
mercoledì 3 luglio 2013
martedì 2 luglio 2013
Memories of a suffering young boy
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lunedì 1 luglio 2013
domenica 30 giugno 2013
Time doesn't heal anything, it just replaces memories
Smile this! |
They love to lie and she seems to understand it all |
Time doesn't heal anything, it just replaces memories 1 |
Time doesn't heal anything, it just replaces memories 2 |
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mercoledì 26 giugno 2013
Call it anything (and play it)
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martedì 25 giugno 2013
Intercapedine
E' inutile dire (ma mi piace anche l'inutilità) che esista tutto
un mondo inesplorato nelle relazioni tra persone. Quello che dico non è la
stessa cosa di quello che viene recepito, quello che faccio va nel mondo e gira
e viene assimilato e viene capito in milioni di maniere diverse, anche dalla
stessa persona, anche a seconda delle giornate. E così ecco qua che io che sono
tanto attento al presente o ai passati remoti e ai lontani futuri mi perdo le
intercapedini e le pause. Mi perdo quel lasso di tempo e di spazio che sta tra
una mia lettera e la risposta, o la mancanza di risposta. Mi perdo le brevi
attese, mi perdo quelle interminabili. Mi perdo tutto lo spazio che c'è dal
punto A al punto B, perché in macchina corro a tutto ed ho fretta di arrivare,
e anche fretta di ripartire. Mentre spingo l'accelleratore dico: devo arrivare
il più in fretta possibile, perché più tempo sto in strada, più tempo rubo al
posto in cui voglio arrivare. E' una questione di spazi e tempi stabiliti e ben
fermi, insomma, ma vorrei poter esplorare tutto quello che c'è di dilatabile.
Lo spazio e il tempo di una corsa in macchina, appunto, lo spazio e il tempo
che impiega un'attesa.
Le intercapedini sono affascinanti. Nell'intercapedine tra un
soffitto e un controsoffito, o tra un pavimento e le fondamenta di un palazzo,
per esempio, aleggiano mistero, dimenticanze, situazioni non considerate, topi
che nessuno ucciderà finché restano lì dentro, metrature insignificanti nel
mondo dinamico esterno. Nell'intercapedine tra un soffitto ed un
controsoffitto, a furor di metafora, c'è fantasia Disney. Nel senso, non c'è
niente e c'è tutto, è uno spazio dove tutto procede fuori dalle logiche
terrene, direi. Uscendo dal lirismo, quando io prendo una penna e scrivo una
lettera d'amore su di un foglio precedentemente bianco ed imbuco la lettera
lasciando che faccia quello per cui è stata creata, cioè arrivare ad una data
persona, io ho davanti un'intercapedine, cioè una pausa di spazio e tempo. In
questa intercapedine, nasce un mondo, che è un mondo completamente fantastico.
C’è un me che aspetta e fantastica e si domanda e vaga con la testa tra le
nuvole; c’è un postino samaritano che prende la mia lettera e decide che quella
sarà la prima lettera per importanza a dover essere recapitata, ma c’è anche un
postino bastardo che decide di aprirla e buttarla via per dispetto; c’è una lei
che è ignara di tutto e che sta vivendo quindi solo nella mia mente, nelle mie
reazioni, nei miei pensieri, in quello che sarà possibilmente il nostro futuro.
C’è tutto il mondo intero, che va avanti come sempre, nello spazio
di tempo che va tra la spedizione e l’arrivo della lettera, ma che qualcosa di
cambiato lo ha, quasi impercettibile, è quel gesto che ha messo in moto delle
possibilità per un futuro diverso, che già però ha cominciato a voler esistere,
e chissà mai se esisterà. Chissà mai se lui e lei passeggeranno insieme su
quelle strade, compreranno un giornale in quell’edicola, si siederanno a quel
caffè, nuoteranno in quel mare. E questi sono gli spazi dell’intercapedine, che
il tempo ci consegna: spazi che iniziano a formarsi e vivono e vivranno totalmente,
se mai sarà loro concesso: se mai quei due, io e lei, prenderemo, alzeremo un
pannello del controsoffitto, ed insieme guarderemo sorridenti quanta roba c’è
lì in mezzo.
Vorrei poter avere la forza per cibarmi di queste sospensioni, ma
sono troppo impaurito da ciò che si promette ma non accade mai, ancora. Vivo
nell’entusiasmo, e quindi vivo molto anche nelle delusioni. Ma pensandoci bene,
anche tra entusiasmo e delusione c’è una bella intercapedine, quindi magari sto
già sul carro.
lunedì 24 giugno 2013
sabato 22 giugno 2013
I heard people crying
It's all linked |
Suicidal tendencies and burning heart |
White horses |
To insanity, again |
You don't know my name |
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