E' inutile dire (ma mi piace anche l'inutilità) che esista tutto
un mondo inesplorato nelle relazioni tra persone. Quello che dico non è la
stessa cosa di quello che viene recepito, quello che faccio va nel mondo e gira
e viene assimilato e viene capito in milioni di maniere diverse, anche dalla
stessa persona, anche a seconda delle giornate. E così ecco qua che io che sono
tanto attento al presente o ai passati remoti e ai lontani futuri mi perdo le
intercapedini e le pause. Mi perdo quel lasso di tempo e di spazio che sta tra
una mia lettera e la risposta, o la mancanza di risposta. Mi perdo le brevi
attese, mi perdo quelle interminabili. Mi perdo tutto lo spazio che c'è dal
punto A al punto B, perché in macchina corro a tutto ed ho fretta di arrivare,
e anche fretta di ripartire. Mentre spingo l'accelleratore dico: devo arrivare
il più in fretta possibile, perché più tempo sto in strada, più tempo rubo al
posto in cui voglio arrivare. E' una questione di spazi e tempi stabiliti e ben
fermi, insomma, ma vorrei poter esplorare tutto quello che c'è di dilatabile.
Lo spazio e il tempo di una corsa in macchina, appunto, lo spazio e il tempo
che impiega un'attesa.
Le intercapedini sono affascinanti. Nell'intercapedine tra un
soffitto e un controsoffito, o tra un pavimento e le fondamenta di un palazzo,
per esempio, aleggiano mistero, dimenticanze, situazioni non considerate, topi
che nessuno ucciderà finché restano lì dentro, metrature insignificanti nel
mondo dinamico esterno. Nell'intercapedine tra un soffitto ed un
controsoffitto, a furor di metafora, c'è fantasia Disney. Nel senso, non c'è
niente e c'è tutto, è uno spazio dove tutto procede fuori dalle logiche
terrene, direi. Uscendo dal lirismo, quando io prendo una penna e scrivo una
lettera d'amore su di un foglio precedentemente bianco ed imbuco la lettera
lasciando che faccia quello per cui è stata creata, cioè arrivare ad una data
persona, io ho davanti un'intercapedine, cioè una pausa di spazio e tempo. In
questa intercapedine, nasce un mondo, che è un mondo completamente fantastico.
C’è un me che aspetta e fantastica e si domanda e vaga con la testa tra le
nuvole; c’è un postino samaritano che prende la mia lettera e decide che quella
sarà la prima lettera per importanza a dover essere recapitata, ma c’è anche un
postino bastardo che decide di aprirla e buttarla via per dispetto; c’è una lei
che è ignara di tutto e che sta vivendo quindi solo nella mia mente, nelle mie
reazioni, nei miei pensieri, in quello che sarà possibilmente il nostro futuro.
C’è tutto il mondo intero, che va avanti come sempre, nello spazio
di tempo che va tra la spedizione e l’arrivo della lettera, ma che qualcosa di
cambiato lo ha, quasi impercettibile, è quel gesto che ha messo in moto delle
possibilità per un futuro diverso, che già però ha cominciato a voler esistere,
e chissà mai se esisterà. Chissà mai se lui e lei passeggeranno insieme su
quelle strade, compreranno un giornale in quell’edicola, si siederanno a quel
caffè, nuoteranno in quel mare. E questi sono gli spazi dell’intercapedine, che
il tempo ci consegna: spazi che iniziano a formarsi e vivono e vivranno totalmente,
se mai sarà loro concesso: se mai quei due, io e lei, prenderemo, alzeremo un
pannello del controsoffitto, ed insieme guarderemo sorridenti quanta roba c’è
lì in mezzo.
Vorrei poter avere la forza per cibarmi di queste sospensioni, ma
sono troppo impaurito da ciò che si promette ma non accade mai, ancora. Vivo
nell’entusiasmo, e quindi vivo molto anche nelle delusioni. Ma pensandoci bene,
anche tra entusiasmo e delusione c’è una bella intercapedine, quindi magari sto
già sul carro.
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