venerdì 26 luglio 2013

Credi che il mondo possa anche non essere un network?


L’eco del bosco, il richiamo della foresta, il silenzio delle foglie, lo sguardo della tigre rimandano a tutto un immaginario fantastico, ma molto eremitico, un aggettivo che nell’attuale era dei network virtuali ha sicuramente acquisito un’accezione negativa. La sovrainformazione è sempre stata un mio cruccio. Da piccolo, avevo appena imparato a leggere, mi lamentavo con i miei genitori per il fatto di non poter evitare di farlo. Il fatto di essere costretto a leggere tutto mi mandava fuori di testa: cartelli stradali, manifesti pubblicitari, insegne di imprese, volantini, strilloni dei giornali. Fu l’epoca in cui non mi fu più permesso di guardare come una volta, e credo me ne rendessi già conto. L’immaginazione lasciò troppo spazio all’informazione, a cominciare dalle sciocchezze: invece di fantasticare sul nome strambo di una data cittadina e sull’aspetto delle sue strade, dovetti per forza acquisire il fatto che quella cittadina stava ad appena quattro chilometri dalla mia, e che anche lei aveva una sagra, un barbiere e un ospedale. Insomma, scomparvero i draghi, gli arcieri che abitavano i suoi palazzi medievali e i tamburi ogni sera. A ripensarci, non fu proprio una sciocchezza.
Più in grande ma come allora, la sovrainformazione temo stia uccidendo grosse parti di me. Questo mi dà molto fastidio. La facilità con la quale possiamo esprimere un pensiero su facebook o goderci cento immagini proposteci da altrettante persone comincia ad essere fuorviante. Non credo per niente che la vicinanza che uno sente verso una persona dall’altra parte del mondo nello scrivergli una mail e mandargli una propria foto ogni mese sia davvero vicinanza. Credo piuttosto che si tratti di illusione, e cioè del sentimento più facile che uno possa provare. Meglio ancora, ho l’impressione che canali come i social network abbiano tanto successo perché propongono una facilitazione dei sentimenti e della nostra espressività: il “mi piace” ci dà l’impressione di aver espresso un’opinione; la fotografia ad una colazione ci fa credere di aver creato; lo scrivere “wow, ora tutti al mare spiaggia aspettaci” ci convince di passare una grande fantastica giornata. Tramite queste cose ci sfoghiamo ma il dubbio è questo: se non li avessimo, saremmo in grado di sfogarci meglio, cioè qualitativamente meglio? Esprimeremo un’opinione con almeno dieci parole, fotograferemo qualcosa che non sia cibo o piedi vestiti di scarpe, ci ingegneremo per passare davvero una grande fantastica giornata? Io sono propenso a rispondere di sì.
Il discorso dell’eremita si lega a questo: se da una parte l’estremo è la vita social, dall’altra si rischia, per fuggire da tweet, status, filtri fotografici e wiki, di doversi rifugiare su una casetta montana, in mezzo alle capre selvatiche e agli stambecchi, rischiando di diventare animali pure noi. Pazzi, insomma.
L’unica cosa che mi sento di fare è di scaricare il minimo di applicazioni, avere meno account possibili e leggere soltanto le recensioni indispensabili: può darsi che liberando un po’ di spazio nella testa qualcosa di buono esce fuori.
Magari riesco pure ad evitare di leggere qualche cartello.
Magari anche questa è illusione.


sabato 13 luglio 2013

Ignoranza, ignoranza, ignoranza



William Faulkner, il romanziere statunitense de “L’urlo e il furore”, “Oggi si vola” e tante altre belle storie di vita, gongolava per la sua ignoranza, la coltivava. Venuto a Milano a ridosso degli anni cinquanta, mi pare di ricordare fosse nel 1949, alla conferenza stampa professava la sua attitudine: “Sono un contadino, non uno scrittore, non conosco per niente la letteratura italiana”. Questo tipo di vanto ricorreva in quasi tutte le sue conferenze stampa di quegli anni, quando ospite di un Europa che usciva dalla guerra assetata di rinascita culturale, nei vari paesi veniva accolto sì con apparente entusiasmo, ma allo stesso tempo con una canonicità, tipica appunto della sete di cultura, che non riusciva a discernere tra una domanda banale ed una invece di più ampio respiro. Mentre tutti i paesi coinvolti nella guerra europea sembravano non poter più ammettere quella stessa ignoranza che magari aveva anche contribuito a portarli nel baratro nazi-fascista e rincorrevano la conoscenza a perdifiato, William Faulkner arrivava qua con una sfrontatezza che di sicuro apriva nuove riflessioni. Nel momento in cui l’intellettuale europeo era più debole, visto che era stato costretto per almeno cinque anni a mettere la sua cultura sotto naftalina a causa della guerra, e quindi era anche più avvezzo ad abbandonarsi ad una conoscenza prettamente enciclopedica che non lo arricchiva quasi per nulla, arrivava dagli Stati Uniti un’improvvisa sterzata, simile all’aiuto militare datoci in campo: la mente è viva se libera. Punto. La cultura piantata a caso dentro la testa può fare più schiavi della tirannia o dell’ignoranza. Più di Kerouac e della combriccola della beat generation, che invece, per quanto anch’essa frangi barriere, comunque abbracciava una certa devozione verso i maestri del passato, William Faulkner veniva a dirci che dovevamo osservare, e non studiare, e soprattutto battere la vanga sul nostro campo, e non fissarci a vangare quello degli altri e promuoverne i frutti.
Questo veniva predicato sessantacinque anni fa e per un po’ ebbe un suo riscontro. Per almeno quindici anni da quella data (mese più, mese meno) la gente andava anche incontro alle sperimentazioni, ammettendo di fatto una via alternativa al conoscere tanto per conoscere. Poi inevitabilmente si sperimentò sempre di più. Col sessantotto si ruppero tutte le barriere e venivano fuori tutti i fiori che erano rimasti fino ad allora un po’ nascosti. Ma col fatto che ad ognuno era ormai permesso di dire la sua, finivano per parlare molti che in fondo non avevano niente da dire. L’ignoranza, salvo pochi casi, non si univa ad una capacità di osservazione, come per Faulkner, e la decostruzione di ogni cosa non era accompagnata da un’altrettanto energica capacità costruttiva. Insomma, si distrusse tutto, ma non si seppe come tirare su un’alternativa che non assomigliasse a qualcosa di solamente idealistico ed utopico, con tanta pace, uccellini e amore.
La conoscenza della terra di Faulkner era stata soppiantata dal sogno di una terra.
Ancora oggi la conoscenza e l’ignoranza vengono vissute in maniera molto canonica: entrambe, non riescono ad evitare di denigrarsi a vicenda. E se una volta in mezzo c’era vita, oggi sembra esserci soltanto un mare desolato.
Gli ignoranti conoscono, gli intellettuali ignorano, e così via, anagrammate i ruoli.


venerdì 5 luglio 2013

Happy summer holidays

happy 




                    summer
                



              holidays (see you next)






giovedì 4 luglio 2013

Indipendence Day, blank space

I don't want your clothes and your russian bitch

Censored desires


It's not that good to be so happy

Urge for going
Usually, ghosts appeared white-vested